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      Perciò polverizzavano l'arte quelli che la riducevano a concetti puri, fraintendendo il Vico. Mostrai che Achille non era un tipo generico ed esemplare, ma un tipo individualissimo, prodotto da que' tempi, come gli Dei e gli eroi, foggiato dal poeta in quell'atmosfera, della quale viveva egli medesimo; perciò non possibile ad imitarsi in altri tempi e da altri poeti. Raffrontai quella forza barbara, indisciplinata e appassionata, co' sensi umani e anche delicati di Ettore, e commossi la scuola leggendo il famoso addio di Ettore, dove si rivelano il marito, il padre e il patriota.
      Di Virgilio lessi il sogno del terzo libro e il fatto d'Eurialo e Niso, tirandone argomento a varie osservazioni di stile, giudicando io Virgilio come il piú grande stilista dell'antichità. Feci l'architettura della Divina Commedia, mostrando quanta serietà di disegno era in quel viaggio, base sulla quale si ergeva l'edificio della storia del mondo, e piú particolarmente italiana e fiorentina. Notai nell'Inferno una legge di decadenza sino alla fine, e nel cammino del poema una legge di progresso sino alla dissoluzione delle forme e alla conoscenza della immaginazione, superstite il sentimento. Mi preparai la via, combattendo i metodi de' piú celebri comentatori, che andavano a caccia di frasi, di allegorie e di fini personali. Notai che la grandezza di quella poesia è in ciò che si vede, non in ciò che sta occulto. Lessi la Francesca, il Farinata, l'Ugolino, il Pier delle Vigne, il Sordello, l'apostrofe di San Pietro e altri brani interessanti, facendovi sopra osservazioni che non dimenticai piú, e furono la base sulla quale lavorai parecchi miei Saggi critici.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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