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      Così il critico condannò l'artista. Ma il pubblico applaudiva all'artista e non rispondeva al critico. Fenomeno non nuovo, chi ricordi Torquato Tasso. Se non che Tasso continuò come critico, e volendo far meglio, fece peggio; Manzoni, condannando se stesso nel suo Discorso sul Romanzo storico, si chiuse nel suo discorso, come Cesare nel suo manto, e tacque. Il critico impose silenzio all'artista.
      E non è a dire, quanto ingegnosi siano stati questi tentativi dell'artista intorno a un problema, che all'ultimo il suo senso critico dovea dichiarare assurdo. Era tra due correnti. Da una parte l'incalzava quel suo mondo degli Inni, un mondo morale superiore consacrato dalla religione, divenuto il suo ideale, il suo mondo poetico. Collocare questo suo mondo nella sua purezza in mezzo alla storia, fare della storia un istrumento di quello, come voleva Goethe, era un rinnovare Alfieri, gli pareva una falsificazione. Giacché dall'altra parte gli stava di contro la storia, l'avvenuto, nella rigidezza della sua realtà, estranea alla sua coscienza e al suo mondo morale. Come fare? Ti rappresenta quel mondo del Carmagnola nella sua realtà, e quando quella realtà diviene proprio la negazione del suo mondo morale, prorompe il poeta, brilla in accenti lirici il suo ideale. È chiaro che l'ideale rimane come rilegato nel Coro, senza contatto con l'azione, rimane lirico, non diventa drammatico. È come un intermezzo poetico in quella prosa. Il Coro greco è legato strettamente con l'azione, è la spiegazione e l'impressione di quella; qui il Coro è la reazione del poeta, è l'impressione sua e dei contemporanei, la maledizione della storia in nome dell'idea; ma la storia continua la sua via e non l'ode.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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