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      Ciò che lo accora, è appunto quel lasciarsi tirare, quella coscienza della sua impotenza; onde nasce un ideale elegiaco, passivo, mancato, lirico e punto drammatico, assai vicino a quelle creature patite e sentimentali che allora erano in voga.
      Tentativi mal riusciti. Perché l'azione storica è di tanta importanza, che non patisce compagnia di elementi estranei e vuoi regnare sola. Pure l'ideale investe così il poeta che ivi si manifesta tutta la sua genialità, sì che lungamente risuonano nell'immaginazione commossa dei lettori: i Cori, il soliloquio di Marco, le nobili espansioni di Adelchi, e soprattutto la divina Ermengarda e il Coro delle vergini Suore. Rimangono i pezzi staccati, si sperde l'insieme, si sperde quanto di profondo ha messo l'Autore ne' suoi pensieri storici: quei due mondi, messi dirimpetto, in luogo di formare un tutto omogeneo e concorde si sciolgono, e l'uno muore, l'altro sopravvive.
      Goethe non approvò questa combinazione di mondo storico e mondo poetico, di personaggi reali e ideali.--Tutto è ideale, nota l'autore del Faust; e noi facciamo alla storia l'onore di servircene a rappresentare il nostro mondo morale--.
      Manzoni approvò la conchiusione, ma non le premesse. Condannò anche lui quella combinazione; gli parve un mezzo sbagliato. Ma quell'idealismo assoluto di Goethe non gli andava, era un rovesciare da' cardini tutta la sua poetica. Mantenne la sua teoria, e cercò un altro mezzo.
      Ne' Promessi Sposi capovolse quella combinazione. Fece della sua invenzione il quadro, e della storia un semplice fondo, di modo che quel suo mondo ideale inviluppato in un mondo storico, che gli dà tutta l'illusione di una esistenza piena e concreta, diviene il vero centro vivente, l'unità di tutto il lavoro.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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