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      Dico suo ideale, perché l'ideale non è un mondo a parte, segregato dalle cose, nella sua perfezione logica e morale, e non è neppure il genere e la specie delle cose, non il loro tipo o esemplare rappresentato sotto forma individuale; ma è un proprio e vero individuo, dove si spoglia la sua perfezione e prende un carattere e una fisonomia, cioè un complesso di parti buone e cattive, di elementi sostanziali e accidentali, che gli tolgono la sua generalità e lo fanno esser questo e non quello. Sicché l'ideale non è l'uno e lo stesso nella infinita varietà della natura e della storia, ciò che fu detto l'uno nel vario, ma è il proprio e l'incomunicabile, l'individuo o il vivente, di là dal quale non sono che astrazioni. Ciascuna cosa che vive, ha un ideale suo, il «caratteristico», che la fa esser sé e non altro; ciò che si dice individuo. Non si vive che come individuo. E meno la vita è sviluppata: minore è la forza caratteristica o individuale, più rassomiglia a genere o tipo; e più la vita è ricca e varia: più vi è scolpita la sua individualità, più il suo ideale vi s'incorpora e vi si distingue. Ma se ciascun individuo ha un ideale suo, segue che ci ha di ogni sorta ideali, belli e brutti, buoni e cattivi, e che don Abbondio e don Rodrigo, e fin Tonio e Griso sono personaggi non meno ideali e non meno poetici che Lucia e Borromeo. Anzi chi va a fil di logica, è sforzato a cunchiudere che base così dell'arte come della vita è non il perfetto, ma l'imperfetto, se è vero che l'ideale, perché viva, dev'essere un individuo, avere le sue miserie, le sue passioni e le sue imperfezioni.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





Abbondio Rodrigo Tonio Griso Lucia Borromeo