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      Nel secolo XIX un dramma pieno di discorsi e soliloquii è concepibile, perché è un secolo in cui si discorre più che non si operi: essendo l'intelligenza molto sviluppata, noi siamo avvezzi a ripiegarci su noi, c'è dell’Amleto nel nostro secolo. Ma nel Medio Evo la vita era tutta al di fuori, e quei capitani di ventura erano tutt'azione; e non c'era molto sviluppo d'intelligenza. Questi discorsi nel Carmagnola sono un anacronismo storico: il ripiegarsi dello spirito in se stesso è proprio dell'uomo moderno.
      Quando Marco è obbligato a sottoscrivere un foglio e ad impegnarsi di non avvertire il Conte amico suo, fa un lungo soliloquio e sottili considerazioni. Egli si domanda: - Fo bene o male? Che cosa farò? Avvertirò l'amico? Ma così infrango il giuramento! Non infrango il giuramento? E sono un perfido amico - . Infine, come una canna in balìa del vento, perde la volontà e dice: - Si segua il destino! - . Accusa del suo operato il destino, il quale non è altro che la sua codardia morale, battezzata con quel nome, e lo segue maledicendo la sua patria che l'ha messo in quella situazione. Egli dice:
     
      - Che tu sii grandeE gloriosa, che m'importa? Anch'io
      Due gran tesori avea, la mia virtude,
      Ed un amico; e tu m'hai tolto entrambi - .
     
      Ora tutto questo è moderno: quel modo di sentire e di concepire suppone intelligenza sviluppata, avvezza alla concentrazione. Questa mancanza di vita drammatica nel Carmagnola è dunque difetto non solo in se stesso, ma rispetto ai tempi in cui visse il protagonista.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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