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      Quando uno scrittore considera un mondo come concetto - siccome il concetto non è sottoposto a leggi storiche, e per sua natura è illimitato - corre e corre coll'immaginazione senza curarsi delle limitazioni che dà la storia. Ma quando lo scrittore lo guarda come oggetto, cioè come mondo già realizzato, esso perde l'illimitato dell'ideale e acquista il limite delle condizioni storiche in cui è. Così capite la differenza tra il poeta subbiettivo e l'obbiettivo, per dirla alla tedesca. Il primo vede il mondo come concetto della propria mente e giunge a farsene un trastullo, giunge sino all'umorismo. Il secondo lo considera come oggetto, e con rispetto, perché lo vede reale: allora viene la misura, l'ideale è compreso e realizzato. Poiché Manzoni ha un sentimento ironico del suo mondo, e l'attua perché ha la misura dell'ideale, il carattere della forma sarà la rappresentazione obbiettiva, cioè il mondo plastico veduto dal di fuori.
      Così diciamo obbiettiva l'esposizione di Omero, perché ci è il mondo greco, fanciullo, tutto al di fuori. Virgilio comincia ad essere poeta subbiettivo, perché accanto al mondo di fuori spunta qualche altro sentimento, che qua e là, in certe frasi, si rivela. Il più grande poeta obbiettivo dell'Italia è Ludovico Ariosto, il più grande della Germania è Goethe. Le forme di arte più perfette sono le obbiettive; più l'artista rimane nel limite, nelle prime impressioni, e più ci è freschezza.
      Ma quella di Manzoni, rappresentazione obbiettiva, è poi quella di Omero e di Ariosto, è puramente l'oggetto, o vi si aggiunge qualche carattere speciale?


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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