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      - . Anche oggi dura questa tendenza, e basta citare il Prati e l'Aleardi. Avete un luogo veduto al raggio di luna: la luna produce certi effetti di chiaroscuro sui vostri occhi; avete un non so che di romantico nella selva, nel bosco, nel lago; aggiungete il mormorio delle acque serpeggianti per la pianura, e via di seguito. Tutti questi sono caratteri poetici certamente, ma comunissimi, generalissimi, e non dànno una fisonomia ad un luogo ś che sia quello e non altro. Anche i paesisti fanno coś, van cercando un effetto di luce, e trovatolo, credono di avere indovinato il paesaggio.
      Manzoni non si dà pensiero degli effetti estetici di cị che descrive, toglie dalla descrizione le generalità del luogo, delle impressioni, dei sentimenti, va lui a vedere cị che deve descrivere, ad osservarlo ed esaminarlo bene. Per chi voglia rappresentare la natura, c'è un immenso repertorio che non poteva essere ignoto a Manzoni, il quale conosceva non solo la letteratura che chiamasi classica, i Latini e i Greci, ma anche la francese, la tedesca, l'inglese, l'italiana; e non c'è poeta che non abbia copiose immagini intorno alla natura. Egli uccide tutto quello che è repertorio ed abito convenzionale, per mettersi in immediata comunicazione con la natura viva e, come si dice, ritrarre dal vero, non badando ai modelli che gli dànno gli altri poeti.
      E non basta. C'è il vero comune, ordinario, come si vede da spettatori che non hanno ingegno poetico; e se Manzoni nemmeno lo avesse, vi darebbe appunto il vero superficiale, la scorza.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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