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      Che c'entro io? Son io che voglio maritarmi?..» - .
      Notate come quest'ultimo contrasto è grottesco.
      Così segue stizzosamente sino a che giunge alla sua casa.
      Ma tutto questo non è ancora uno sfogo, è soltanto gioco d'immaginazione, che rimane affogato, perché egli, don Abbondio, non ha ancora parlato.
      «Giunto fra il tumulto di questi pensieri alla porta della sua casa,... pose in fretta nella toppa la chiave,... aperse, entrò, richiuse diligentemente», come se fosse inseguito dalle figure de' bravi. Ed il primo sentimento che nasce in lui, ora che è in casa sua, è l'ansia di trovarsi in compagnia di una persona fidata, è il sentimento dello sfogo: ond'è che non ha messo ancora il piede sulle scale, che comincia a gridare: - «Perpetua! Perpetua!» - . Osservate con quanta verità entra in iscena Perpetua. Don Abbondio sapeva che Perpetua stava nel salotto ad apparecchiar la tavola per la cena; la sua intenzione quindi, allorché la chiamava, non era di vedere se c'era, ma era il bisogno di aprire la bocca, era il bisogno di confidarsi. - I Francesi hanno un proverbio che dice: «il se frotte toujours à quelqu'un», ossia che l'uomo pauroso ha bisogno del suo «due», di qualcuno, cioè, che l'incoraggi; ed il «due» di don Abbondio era Perpetua, tipo che voi potete trovare benissimo, e nelle case di preti vedete sotto forma di governanti queste viragini, forti di corpo, goffe, di buon cuore, che avendo della confidenza col padrone s'immedesimano con lui, e dicono: - Noi, la casa nostra - ; e quando voi trovate che queste persone hanno buon cuore ed una stima sentita per il padrone, allora comprendete tutta l'importanza del grido di don Abbondio: - «Perpetua!


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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