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      Ma la vendetta della coscienza non si lascia aspettare, perché sempre quella seconda voce contiene la prima; e di fatti don Abbondio ha bisogno di giustificarsi, e questo giustificarsi è appunto la risposta a quella voce, di cui egli non ha chiara coscienza. Epperò la frase ultima di don Abbondio è di forma complessa, è mezzo espediente, e mezza giustificazione.
      Ma perché quella frase fa ridere?
      Perché in quella frase don Abbondio dice quello che con latino maccaronico si direbbe: «Prima caritas principiat ab ego»; e questa persuasione che gli è dettata dalla paura fa ridere coloro che sono fuori ed al di sopra della sua temperatura. Quindi il riso benigno che è eccitato da quelle parole: «Tu pensi all'amorosa; ma io penso alla pelle... Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo».
      Don Abbondio finalmente chiude gli occhi al sonno: ma l'autore non lo lascia ancora senza dargli l'ultima pennellata. Dorme, «ma che sonno! che sogni!». Tutti gli avvenimenti gli si ripresentano ingranditi dalla paura. Ora, miei cari, che cosa ha di particolare il sogno? Nella veglia ci sono certi movimenti intimi, che noi non osiamo di rivelare a noi stessi per un certo pudore naturale; noi abbiamo vergogna di dare loro forma di pensiero, perché avremmo vergogna nel pensare d'aver commesso tali vigliaccherie. Ora avviene che una volta che l'immaginazione rimane libera, nel sogno vengono innanzi que' tali moti che nella veglia non riveliamo a noi stessi.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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