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      Gli manca la forza sintetica per farne scaturire il comico. Essendo il «caso» mezzo per togliere al corso della vita la sua forma abituale, avrebbe dovuto l'autore in quella situazione straordinaria farci vedere la contemporaneità de' movimenti de' diversi personaggi. Ebbene, quello che noto in quel capitolo è appunto un certo che di sparpagliato, sicché, quando si è sentita la campana a martello, l'autore ci dice prima quello che succede in casa di Lucia e poi quello che succede in casa di don Abbondio: ci dice insomma gli effetti particolari del comico, e ci ruba l'effetto generale di esso. - Supponete per poco un quadro, nel quale fosse dipinta interamente quella scena. Ci sarebbero da una parte i bravi in confusione, dall'altra don Abbondio chiuso nella camera spaventato, Renzo che remiga con le mani in cerca del curato, Lucia atterrita, Tonio carpone che scopa colle mani il pavimento per adunghiare la sua quitanza, Gervaso che grida e trasalta spiritato. Il pittore vi avrebbe rappresentato tutto questo, e da una parte la fuga degli uni, e dall'altra la scena che avveniva in casa del curato, ed in mezzo del quadro il popolo accorso.
      Ebbene tutto questo insieme vi sfugge nel capitolo VIII, l'effetto generale del comico è perduto.
      Ma per dirvi qualche cosa di quel che riguarda don Abbondio, torniamo al principio del capitolo VIII.
      Don Abbondio, già guarito dalla febbre dello spavento, seduto sul suo seggiolone, ruminava: - «Carneade! Chi era costui?» - . E l'autore vi dà il grottesco di quella figura quando dice che «stava sur una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, imbacuccato in un vecchio berretto a foggia di camauro che gli faceva cornice intorno alla faccia», con «due folte ciocche di capelli che gli scappavano fuor del berretto, due folti sopraccigli, due folti mustacchi, un folto pizzo pel lungo del mento, tutti canuti e sparsi su quella faccia brunazza e rugosa», e che «potevano assomigliarsi a cespugli nevicosi sporgenti da un dirupo, al chiarore della luna»;... ed il chiarore della luna era il lume scarso di una piccola lucerna.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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