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      Cercò quindi purgare la sua concezione di quella parte intrusa ed esagerata, per passare all'affetto ed alla naturalezza. Gli uscí fuori un'altra novella, Ulrico e Lida, molto inferiore all'Ildegonda per finitezza di esecuzione, in piú punti abborracciata e cascante. Il soggetto è volgare e comune, e non vi è di interessante che qualche cosa divenuta comune dopo l'Ermengarda di Manzoni: Lida che muore in pace, tranquilla in mezzo alla sua famiglia, con lo sposo accanto. Però c'è una pagina che si collega con l'Ildegonda, ed è quasi la sola novitá del racconto.
      Avete veduto il delirium tremens d'Ildegonda. Il Grossi vuole ora riprodurre la stessa situazione purificata.
      Inventa una madre, la madre di Lida. Quando costei fugge coll'amante, la madre esce pazza, e quando torna ferita, non la riconosce. A poco a poco però la pazzia cessa. È una sola pagina, ma tra le piú belle del Grossi. La madre entra improvvisamente nelle stanze, la povera cieca le dice: vedi la nostra figliuola: ed ella è incredula. Lida piange ed ella: perché piangi? Io sí che ho da piangere, io che ho perduto i miei figli.
      Sono pochi momenti patetici. Che cosa manca alla scena perché potesse dirsi drammatica? La soluzione: la rappresentazione nel momento che la madre riprende i sensi e riconosce Lida.
      Il delirio è una idea fissa che empie il cervello. Come mai un pazzo può riprendere la ragione? Oggi che la fisiologia è tanto progredita, facilmente si può rispondere; Balzac metterebbe qui in modo prosaico tutt'i particolari.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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