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      C'è tutto uno studio da fare su questa poesia sbucciata fra le foreste e i monti della Calabria, impastata con ciò che pioveva in quelle calde fantasie per la lettura di tanti libri nuovi, dall'Ossian al Grossi ed al Carcano.
      Sceglierò un poemetto alla Byron che merita di richiamare di piú la nostra attenzione, lasciando a qualche leale calabrese - perché i calabresi pongono innanzi tutto l'amor della patria - lo studio di quella schiera di valorosi, aggiungendo qualche cosa che vi dia i lineamenti generali di essa prima che si confondesse con la scuola di Napoli e degenerasse. È l'Errico di Domenico Mauro.
      Vi sentite anzitutto lo spirito di Byron, con reminiscenze di Ossian e di Foscolo. Che cosa è questa poesia di Byron, di cui sentite cosí possente l'influsso nelle novelle calabresi? - Il secolo XVIII terminò con la cosí detta poesia borghese: era l'uomo con la giamberga che succedeva all'uomo in toga e paludamento, agli eroi messi sul piedestallo: l'uomo di Dante spariva, succedeva il borghese, tutto s'impiccoliva a quella stregua. Un poeta di grande animo e di gran cuore non può trovare ispirazioni in quel fondo prosaico, meschino. Byron, di cui la immaginazione era sí possente, sí caldo il cuore, cercò gli eroi fuori della borghesia, nei mari, come il Corsaro, ne' tempi primitivi, come Caino, nelle profonde cavitá della coscienza, come Manfredo. Non trova un contenuto proporzionato all'anima sua nel mondo che gli è d'intorno, e fuori di quello cerca personaggi giganteschi per innalzare la poesia.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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