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      Di Farinata dice Dante:
     
      Ma quell'altro magnanimo, a cui postaRestato m'era, non mutò aspetto.
      Né mosse collo, né spiegò sua costa.
     
      Vedete qui l'ossatura, la muscolatura presentata in modo gigantesco. Farinata vi pare piú alto degli altri uomini, e poi qual'è la soluzione immortale di quella situazione finita?
     
      Ciò mi tormenta piú che questo letto:
     
      un'immagine che vi colpisce e vi fa pensare tante cose, ma indistintamente, come le ha pensate il poeta.
      Giuseppe Campagna, nel secolo XIX, giovane che esce appena di collegio, sotto la profonda impressione che Dante produce in lui, vuol fare un poema a modo di Dante. Ha giá un grande aiuto, l'assoluta padronanza del verso. È felicissimo nel maneggio della terzina. Eppure, se vi potessi leggere intero l'Abate Gioacchino, son sicuro ne avreste la stessa impressione che ho provato io, rileggendolo dopo tanti anni. Non ostante il motivo drammatico cosí terribile e la situazione cosí fuori dell'ordinario, la lettura vi lascerebbe freddi dal primo all'ultimo verso. Qua e lá sentireste non so che di vuoto, qualche cosa di soverchio, di prolisso. Qui, maneggiando la terzina di Dante, non è permesso il prolisso e il soverchio, invece dovrebbe essere la vita condensata.
      Donde deriva questo? Giuseppe Campagna non ha ingegno drammatico, è negato interamente a vedere una situazione nei suoi movimenti, nelle sue gradazioni, nel suo sviluppo. E neppure ha una grande potenza sintetica, che gli faccia trovare quell'ultima immagine la quale fissa una situazione, come la trova Dante.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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