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      Il povero in tutte le sue forme, che chiede la limosina, o che sia un'orfana, o un cieco, o una povera pazza, cui il dolore ha guasto il cervello, ludibrio de' ragazzi, o la giovinetta che fila e tesse per vivere, o il contadino curvo sulla marra che si guadagna a stento il vitto coi suoi sudori. Fisonomia dominante è miseria e dolore.
      Percorrete tutte le poesie del Parzanese e vi troverete costantemente il povero sotto queste diverse forme, ed accanto a lui dolore, miseria, lavoro. Pure, que' del villaggio non si accorgono di essere infelici perché non hanno coscienza di diritti, credono le cose sieno state e debbano essere sempre cosí, sulla loro fronte è scritto quel motto di Berchet: che giova? siam nati a servire. Perciò han fede in una, direi, predestinazione, hanno la rassegnazione di accettare il lavoro e il dolore, nel loro spirito poco sviluppato non penetrano altri sentimenti, idee di cose migliori. Com'è il mondo per essi, è stato pe' loro padri, sará pe' loro figliuoli.
      Fin qui troviamo il materiale della poesia, non ancora la poesia. Ma se guardate in fondo nella coscienza del povero, dell'operaio, del contadino, vedete che essa s'illumina e s'innalza mercé una specie di filosofia che chiamerò popolare, filosofia di secoli che si potrebbe tradurre in questo concetto: - Infine, che cosa è questo villaggio? Che è questa vita che meniamo? È vita di transizione, la vera vita è nel cielo, la nostra vera patria è il paradiso; e se noi siamo esuli, quando moriamo la morte è un dormire, ci svegliamo in un mondo migliore - . Tutta una piccola storia è legata a questo concetto, ed è che nel cielo vi sono delle anime destinate a venire un giorno in terra per purificarsi nel dolore, e quando lo hanno sopportato e l'hanno offerto a Dio, fatta la purificazione, Dio le richiama.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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