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      Cantú ha il coraggio opposto, non solo guarda la societá coll'occhio del miope o come chi ha un occhio solo e lascia il resto da parte; ma lo stesso limite, quando lo trova, lo fa rimanere astratto. Per esempio, la mansuetudine cristiana esclude forse che se il vostro paese è calpestato dallo straniero, voi sentiate il dovere di esprimere la vostra indignazione e afferrare anche la spada? Che allo spettacolo dell'ingiustizia, si ricorra anche alla forza per respingerla? Ebbene, il Cantú mette la teoria contraria sotto la protezione di Gesú Cristo:
      «Quanto a Gesú Cristo, l'abbiamo tutti sotto gli occhi, egli dottore e modello. Uscí forse per Israele a gridare la vergogna di aver perduto la nazionale indipendenza e lo scettro di Giuda? l'onta di stare servi agli stranieri? Esclamò forse altamente contro i Cesari, contro le spade, contro la servitú, contro le altre cose che veniva ad abolire?».
      E queste cose scriveva il Cantú quando la Lombardia era ancora sotto l'Austria!
      «Povero fra i poveri, tra cui ignorato passa trent'anni, quando apre le labbra alla parola rinnovatrice, tutto è mite sapienza, tutto è umiltá popolare».
      Dunque una mitezza giunta al punto di pigliarsi in pace le battiture, di subire la signoria straniera senza lamentarsi. Esagerazione giunta fino all'estremo; ma che potrebbe costituire una grande posizione al Cantú, perché chiunque rappresenta bene una idea, qualunque essa sia, ha il suo luogo nella storia. Potrebbesi chiamarlo il De Maistre o il De Bonald dell'Italia, se in lui fossero le grandi qualitá che fanno acquistare una pagina nella storia.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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