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      Ne' suoi dipinti come ne' suoi romanzi splendide sono le cornici, specialmente se vibra la corda patriottica, i quadri sbiaditi lasciano molto a desiderare per precisione di disegno e per finitezza d'esecuzione.
      L'abbiamo accompagnato fino al 1841: non abbiamo ancora trovato in lui l'uomo politico. Eppure c'era stato gran movimento fino a quel tempo. Dove era Massimo d'Azeglio il 1821, quando tutta la gioventú piemontese correva a porsi sotto la direzione di Santorre di Santarosa? Era in Roma, o, per dir meglio, girovagava per le campagne romane. Non era con gli altri, non solo perché il padre non volle; ma anche perché ragionando non con principii astratti e con passioni, ma col suo buon senso, quell'impresa gli pareva matta, di riuscita impossibile viste le condizioni di Europa; impresa piú di sette che di popolo, ed egli odiava le sette che avvezzano l'uomo a mentire, a simulare, a dissimulare, e lo rendono ipocrita; - tutte cose che ripugnavano al sentimento del dovere, alla serietá di carattere che v'ho indicata come una delle sue principali qualitá morali.
      Nel movimento del 1832 nemmeno lo troviamo. Gli pareva che allora la vera azione politica non dovesse essere un movimento che invece di far progredire la buona causa la respingeva indietro e la rendeva ridicola innanzi all'Europa per la tenuitá de' mezzi. La miglior cosa sembravagli formare un'opinione pubblica cosí concorde da rendere possibile un moto generale, non di setta ma di nazione. Ed è questo concetto che lo rende romanziere, perché l'Ettore Fieramosca e il Niccolò de' Lapi avevano visibilmente lo scopo di presentare agl'italiani un'Italia militarmente fiduciosa in sé stessa, italiani valorosi come quelli della Disfida di Barletta, come quelli che fecero la bella difesa di Firenze, dipinta nel Niccolò de' Lapi.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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