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      Ricordate quello che Cinea diceva a Pirro: Conquistata Roma, che faremo noi? - Conquisteremo la Sicilia, rispondeva Pirro. - E dopo? - Altri paesi. - E dopo? - Andremo innanzi. - Ed all'ultimo? - Godremo, trionferemo delle nostre vittorie. E Cinea ripigliava: - Chi impedisce di far questo da oggi, perché forse il fato c'impedirá di farlo piú tardi? - . Trahit sua quemque voluptas: il fato di Pirro fu di morire ignobilmente sotto i colpi di una femina, ed il suo ultimo che faremo noi? non venne. Cosí fu di Mazzini: immerso nelle cospirazioni, travagliato da passioni, non giunse per lui il tempo del raccoglimento e della vocazione letteraria. E morí - guardate un po' la sorte degli uomini, - morí accusato come conservatore, come peggio de' liberali, vituperato da quelli che credevano stargli innanzi. L'uomo è punito dove pecca; egli aveva detto a' liberali: voi volete fare il progresso a modo vostro, e non avete questo potere. L'argomento fu rivolto contro di lui, e lo dissero nuovo papa, pontefice dell'idea, lo accusarono di voler arrestare il progresso, di volere far rimanere immobile l'umanitá nel cerchio delle sue idee.
      Nonostante gli ultimi giorni tristi ma molto operosi, egli morí con doppio privilegio, cosa a pochi conceduta. Morí - ciò ch'è raro in Italia - lasciando una scuola fervente la quale crede empietá il solo discutere le sue dottrine. E morí costringendo i suoi avversari piú implacabili all'ipocrisia, e riunendo tutti gl'italiani dietro al suo feretro, come Manzoni: essi due, infatti, si hanno tirato appresso piú che altri il pensiero italiano.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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