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      - poche parole, qualche esclamazione, proprio l'ultima punta della passione che suppone tante gradazioni, tanti passaggi.
      Conseguenza di tutto ciò è la mancanza assoluta di caratteri. Poiché, i caratteri si rivelano nella lotta; ma quando la tragedia è scoprire i fatti accaduti, non è rappresentazione, ma narrazione, e l'azione si concentra all'ultimo momento, appare e sparisce come lampo; i caratteri non possono incarnarsi e diventar persone vive. Oggi cos'è rimasto del Giovanni da Procida? Neppure un verso nella memoria, non ostante le splendide descrizioni, non ostante le tirate di rettorica finissima. I panegiristi han voluto gonfiare il verso che dice Imelda alla fine e che ha dell'Alfieri, e pure anche quello è dimenticato. Pietro Cossa ha fatto una tragedia sbagliata da capo a fondo, - il Nerone - ma c'è lí il carattere di una giovane ch'è vivo e fresco innanzi a voi e vi fa sentire che nel Cossa c'è la stoffa dell'artista. Ma che sono Giovanni e Imelda, e Tancredi e Droghetto e i poeti siciliani? Non ne rimane alcuna rimembranza.
      Imelda poteva riuscire tanto interessante! Figlia di Giovanni, messa fra i doveri di sposa e di figlia, deve proteggere lo sposo che crede francese e voler bene a suo padre; ma lí, nel mistero, si presenta tutta un pezzo, con poche esclamazioni, con qualche pensiero che mostra la donna colta, ma senza vita. Perciò il Giovanni da Procida, il lavoro piú lodato di Niccolini, non ha alcun pregio che lo faccia restare nella storia.
      Passiamo all'altra tragedia, proibita, venduta a molte migliaia di copie - cosa rara in Italia - e che passò le Alpi, e fu tradotta e lodata e biasimata, per poi far posto al silenzio.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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