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      Generum genus est ordo, ordinum autem genus classis est, disse Linneo nella sua Philosophia botanica. Questo concetto è soltanto vero, quando se ne estenda la formula sino all’indefinito.
      Questo ordine di idee in cui ci siamo messi spiega perfettamente la deplorevole ed insanabile fluttuazione del concetto che si affigge ai vocaboli specie, genere, famiglia ecc. Ciò che per uno è specie ben definita, per altri sarà sottorazza, razza, o sottogenere. Ciò che per uno è genere, per altri sarà sottogenere, sottotribù, tribù. Infine ciò che per uno è famiglia, sarà per altri tribù, sottofamiglia o gruppo di famiglia. In questo mare fluttuante due soli sono i punti fissi, cardinali o polari, l’idea dell’individuo e l’idea del regno, vale a dire il primo ed ultimo termine. I temini intermedi diventano vieppiù incerti di mano in mano che in linea ascendente o in linea discedente si allontanano dai rispettivi poli ossia termini estremi.
      L’unica soluzione di questo grande problema tassonomico sarebbe la invenzione ed estensione grafica di un albero genealogico, e questo pensiero che con lucida evidenza si presenta alla mente, parla da sé solo moltissimo in favore della teoria della variabilità della specie.
      La prima conseguenza logica del metodo naturale genealogico sarebbe quella di eliminare tutti i termini intermedi, niuno eccettuato, ai quali si dovrebbe sostituire una gradazione numerata, e ciascun grado dovrebbe essere denotato con proprio nome. Così per la indicazione degli esseri organizzati, a vece del binomio linneano, si dovrebbe usare e adoperare un plurinomio complicatissimo.


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Memorie di biologia vegetale
di Federico Delfino
pagine 607

   





Linneo Philosophia