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      Ne conchiusi che la fecondazione in tale specie deve parimenti aver luogo per via degli uncinetti delle zampe d’imenotteri. Non potei però averne la prova diretta, giacché tali piante sono di stufa calda: fiorendo assai precocemente non possono essere esposte all’aria aperta, e così al libero accesso degli insetti. Mediante fibre sottilissime e capelli finissimi mi riuscì di estrarne le masse polliniche e d’immetterle successivamente a posto.
      Vano invece riuscì ogni mio tentativo di fecondare artificialmente la Hoya carnosa, al Centrostemma tanto affine. Il condotto in questa pianta ha i regoli tanto approssimati e quasi conglutinati, che non trovai fibra tanto sottile e rigida da giovarmi all’uopo. Io mi smarriva pertanto in vane congetture sul modo che la natura tenesse per la fecondazione di tali piante. Finalmente un bel giorno mi riuscì di cogliere la natura sul fatto. Vidi una quantità di api che facevano bottino di miele sopra una rigogliosa pianticella di Hoya carnosa coltivata nell’orto botanico dei Semplici in Firenze. Osservai attentamente le zampe di detti insetti, e notai tosto che gli uncinetti delle loro zampe erano gremiti di masse polliniche. Allora esaminai attentamente i fiori di un’ombrella. I 4/5 dei retinacoli coi dipendenti pollinari mancavano della loro nicchia e una buona parte di pollinari non solo trovai che erano stati messi a posto, ma che ciascuno di essi aveva già emesso il proprio cordone di tubuli pollinici. Detta pianta non ostante non abbonì alcun frutto.


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Memorie di biologia vegetale
di Federico Delfino
pagine 607

   





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