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      [270] Ma noi non la ascoltiamo per lo più, e così per lo più siamo simili a coloro a chi Dio non la diede, cioè alle bestie, nelle quali, non di meno, adopera pure alcuna cosa non la loro ragione (ché niuna ne hanno per se medesime), ma la nostra; come tu puoi vedere che i cavalli fanno, che molte volte - anzi sempre - sarebbon per natura salvatichi, et il loro maestro gli rende mansuetiet oltre a ciò quasi dotti e costumati, perciò che molti ne andrebbono con duro trotto, et egli insegna loro di andare con soave passo, e di stare e di correre e di girare e di saltare insegna egli similmente a molti, et essi lo apprendono, come tu sai che e’ fanno. [271] Ora, se il cavallo, il cane, gli uccelli e molti altri animali ancora più fieri di questi si sottomettono alla altrui ragione et ubidisconla et imparano quello che la loro natura non sapea, anzi ripugnava, e divengono quasi virtuosi e prudenti quanto la loro conditione sostiene, non per natura, ma per costume, quanto si dèe credere che noi diverremmo migliori per gli ammaestramenti della nostra ragione medesima, se noi le dessimo orecchie? [272] Ma i sensi amano et appetiscono il diletto presente, quale egli si sia, e la noia hanno in odio et indugianla, e perciò schifano anco la ragione e par loro amara, con ciò sia che ella apparecchi loro innanzi non il piacere, molte volte nocivo, ma il bene, sempre faticoso e di amaro sapore al gusto ancora corrotto; perciò che mentre noi viviamo secondo il senso, sì siamo noi simili al poverello infermo, cui ogni cibo, quantunque dilicato e soave, pare agro o salso, e duolsi della servente o del cuoco che niuna colpa hanno di ciò, imperò che egli sente pure la sua propria amaritudine in che egli ha la lingua rinvolta, con la quale si gusta, e non quella del cibo: così la ragione, che per sé è dolce, pare amara a noi per lo nostro sapore, e non per quello di lei.


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Galateo overo De' costumi
di Giovanni della Casa
pagine 75

   





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