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      Nell’apertura di questa adunanza il duca di Monteleone espose ai parlamentarî le spese ingenti, che l’augusto Carlo avea dovute sostenere, per mettere in piede dei poderosi eserciti ad oggetto di opporli alle armate della lega, e perciò non solo richiese il sussidio triennale di trecento mila fiorini, ma anche la facoltà di poter vendere i beni del real patrimonio fino alla somma di trenta mila scudi, per potere col denaro, che ne avrebbe ritratto, far argine al torrente dei suoi nemici. Accordarono gli ordini dello stato il solito donativo, e fecero un atto, con cui dichiaravano di essere contenti, che lo augusto imperadore potesse vendere sino alla prescritta somma alcuni dei beni del real patrimonio (753). Di più i parlamentarî esibirono al duca di Monteleone di tenere a spese proprie dugento soldati da cavallo armati alla leggiera, con quattro capitani, e quattro alfieri, colla facoltà ad esso vicerè di eleggerli, purchè fossero o siciliani nati, o originati dalla Sicilia (754).
      Dopo il parlamento il duca di Monteleone andossene a Messina, forse per essere a portata di occorrere ai bisogni di Napoli. Mentre egli era in quella città, successe il secondo, così detto, caso di Sciacca, che sarà sempre memorabile nella nostra istoria. Non eransi mai smorzate le scintille dell’odio antico fra i signori de Luna conti di Caltabellotta, e i Perolli baroni di Pandolfina, che si erano suscitate l’anno 1453 nel primo caso di Sciacca, che noi abbiamo accennato nel libro II di questa storia cronologica (755). Era allora capo della famiglia de Luna Sigismondo giovane coraggioso, e pronto alle più ardite imprese, ed era alla testa dei Perolli Giacomo, il quale oltre di essere ricco, e potentissimo nella città di Sciacca, dove dimorava, ed avea un castello ben munito, ritrovavasi stretto amico del vicerè duca di Monteleone, avendo l’uno, e l’altro servito la regina Elisabetta moglie di Ferdinando il Cattolico nella Paggerìa. Queste circostanze, e in particolare i riguardi, che il Pignatelli usava verso di lui, lo rendevano altiero, ed esercitava in Sciacca una specie di tirannìa. I nobili di questa città soffrivano a malincuore la di lui prepotenza, e unitisi con Sigismondo, che per la vecchia emulazione, e per alcuni nuovi motivi abominava Giacomo, ne giurarono la rovina.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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