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      Venuti poi a Sciacca castigarono i senatori, come rei di non avere impedito la desolazione della loro patria, condannarono ad una grossa ammenda i cittadini, che erano restati inoperosi; e spedendo da per tutto capitani d’armi alla seguela di coloro che n’erano fuggiti, l’ebbero tutti in potere parte uccisi, e parte prigioni, che subirono di poi la meritata pena. Non lasciò Clemente VII. di mediarsi per ottenere al conte Sigismondo la grazia; ma l’augusto Carlo, cui facea orrore il delitto di costui, fu sempre implacabile, e a stento finalmente accordò alla moglie, e ai tre figli del conte, e a Giovanni de Luna padre il perdono, conoscendoli innocenti, rendendo loro i beni confiscati. Raccontasi che Sigismondo, vedendosi chiuso ogni adito ad ottenere la grazia presso l’imperadore, vinto dalla disperazione si fosse buttato nel Tevere.
      Era il vicerè in Messina, quando accadde in Sciacca la catastrofe, che abbiamo brevemente raccontata. Ivi gli arrivò la conferma per tre altri anni nel viceregnato, la quale gli fu accordata con dispaccio dell’imperadore sottoscritto nella città di Genova ai 30 di agosto 1529, che poi fu registrato in Messina ai 30 di ottobre dello stesso anno (757).
      I cavalieri della religione di S. Giovanni Gerosolimitano erano in tal tempo senza una fissa dimora, vagando ora in un luogo, ora in un altro. Cercavano eglino di stabilirsi in una città marittima, da dove potessero agevolmente andare in corso per perseguitare i nemici della cristiana religione. Aveano sperato di ritornare nell’isola di Rodi, e di poi di fare dimora nella città di Modone nella Morèa; ma le pratiche usate nell’una, e nell’altra parte riuscirono vane, essendosi dai Musulmani scoperti i segreti maneggi, che eglino fatti aveano per impossessarsene.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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