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      Il pretore, i senatori, e i nobili, che erano con essi, disperso che fu il furibondo popolo per la città, affine di dar sacco alle case dei ricchi, ebbero modo di sortire dal palagio senatorio, e di rimettersi in sicuro a Castellammare.
      Finalmente si toccò con mani, che, [206] qualora la plebe bolle di rabbia, nè sente più il freno dell’autorità, o bisogna adoprare una forza maggiore, che la conquida, e distrugga, (il che sempre torna a danno della corona, e dello stato, che perde tanti individui, quanti vi restano uccisi) o bisogna far uso delle buone maniere, e degli artifizî per ridurla dolcemente al dovere. Mancava il primo modo da frenare i sollevati, perchè mancavano le soldatesche nella capitale, e il vicerè, che ritrovavasi a Messina, ne avea seco condotta una gran quantità per la infelice impresa di Tripoli; bisognò dunque tentare il secondo espediente, come l’unico per tranquillare la città. Eravi in Palermo Vincenzo del Bosco conte di Vicari, il quale era un cavaliere accetto al popolo, ed era dotato di una sopraffina prudenza. Fu questi pregato ad interporsi per procurare la comune quiete. Finse egli di sostenere il partito popolare, e così acquetò per allora la inferocita plebe. Ridottala a questo stato, ebbe campo di abboccarsi col capopopolo notar Cataldo, di cui trovavasi per fortuna compare, avendogli tenuto un di lui figliuolo al sacro fonte. Avutolo da solo a solo gli fe concepire in quale strano impegno fosse entrato, facendosi capo della più vile plebaglia, e gli fe rilevare che a lungo andare egli sarebbe stato la vittima della offesa maestà, non essendo verisimile, senza altri appoggi, che potesse costantemente sostenere la tumultuazione.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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