Fe questo capitano resistenza, e vi restò ferito; al rumore accorsero i Messinesi per liberarlo, e si venne alle mani colla morte di molti dell’una, e dell’altra parte. Ne fu tosto avvisato il duca di Feria in Palermo, il quale ordinò che si resistesse alle milizie, quantunque spagnuole, non essendo mente del sovrano che le città fossero soggette alle ruberie di costoro (1257); ma prima che arrivasse questa risoluzione del vicerè, il principe Doria, che era il principale ammiraglio, e il marchese di S. Croce generale delle galee di Spagna aveano sarpato dal porto colle galee, nelle quali erano le milizie spagnuole, e aveano estinto nel suo nascere questo incendio (1258).
      Scioltasi nello stesso anno la lega delle forze navali combinate, le galee maltesi, che non volevano ritornarsene senza far qualche preda, costeggiarono per l’Affrica, ma sorprese da una tempesta tre di esse [274] arenarono nell’isola detta del Timbalo, che era in potere dei Mori. Delle due, che si salvarono, e aveano veduto dare in secco le tre suddette, una giunse felicemente in Palermo, e il comandante avvisò il vicerè del pericolo, in cui erano le tre galee arenate. Il duca spedì tosto le sette galee siciliane in loro soccorso, e dietro a queste mandò il suo galeone, che era detto l’Arca di Noè. Giunsero prima le sette galee; la violenza dell’onde però non permetteva, che eglino potessero dare aiuto a’ Maltesi, che attaccati dai Mori si difendevano in quella critica situazione alla meglio, che potevano; ma sopraggiunto il galeone, dubitando quei barbari che questo fosse l’antiguardia di qualche flotta, e non potendo resistere al fuoco del cannone, abbandonarono la preda, e fuggirono.