Nel punto, che pervenne in Messina la notizia dello sbarco fatto dai Musulmani in Malta, e del danno che vi avevano recato, vi arrivò il principe Filiberto, e tosto si dispose a passare in quei mari colla sua flotta, che era del pari forte di sessanta galee per dar battaglia all’armata nemica, ed obbligarla a ritirarsi. Noi ignoriamo se egli abbia ciò eseguito, trovando discordi gli scrittori. Il Longo (1332) racconta che ei vi andò, ed osservò che i Turchi già si ritiravano in Affrica, nè volle azzardare di battersi, giacchè le sue istruzioni portavano di dovere unicamente difendere le isole, le quali colla partenza dell’armata nemica restarono già in ogni sicurezza; ma il Caruso (1333) pretende che ei non si mosse da Messina, e che udendo l’allontanamento degli Ottomani dai mari di Sicilia, pensò di abbandonare questa città (1334), e solo vi si trattenne qualche altro giorno per aspettare il vicerè, ed abboccarsi con esso.
      La partenza del principe Filiberto, e dell’armata spagnuola, che fu seguita dalle galee napolitane, e maltesi non fu a grado del duca di Ossuna. Era egli animato da un genio guerriero, ed agitato sempre dagli spiriti marziali; e quantunque si fosse allontanato lo spavento, partita già l’armata turca, avrebbe desiderato nondimeno, che fosse stata inseguita. Ma oltre a questa sua inclinazione, era egli mosso a voler la guerra dai principî della filosofia del governo. Conoscea egli il coraggio de’ Siciliani, nè volea tenerli oziosi; persuaso, che, se avesse lasciate le quattordici galee, che componeano la nostra squadra, marcire nei porti, così i marinari, che i soldati si sarebbero snervati, e impoltroniti, ed avrebbono di leggieri commessi dei delitti, che esser doveano di peso allo stato.