Allontanato ogni pericolo dei corsari, e dei Turchi, e assicurati nel detto parlamento i soccorsi al sovrano, si studiò il duca di Alcalà di promuovere l’interna felicità del regno. Erano le vie della Sicilia mal sicure per i continovi ladronecci, e misfatti, che si commettevano nelle campagne; nè le città, nè le terre erano libere dai malfattori. Egli perciò diede le più opportune provvidenze per purgare l’isola da codesta perniciosa razza. Il rigore, con cui furono eseguiti i di lui ordini, era estremo, nè vi fu mai governo presso di noi, in cui i rei fossero stati così severamente gastigati, come quello del mentovato vicerè (1445). Cominciò allora a viaggiarsi senza pericolo; ciascheduno era sicuro dagli aggravî; le sacre leggi aveano il loro vigore; i magistrati non stavano punto neghittosi, ma adempivano il loro dovere esattamente; e la voce del sentimento diede a questo amatore della giustizia il bello epiteto di Vendicator severo dei delitti, di cui egli così si compiacque, che si contentò, che restasse scolpito in eterna rimembranza in una lapide, che era apposta alla porta di Vicari, oggi detta di S. Antonino, nella quale veniva chiamato SCELERUM IMPLACABILIS ULTOR.
      La severità, con cui reggea questo vicerè, non era al gusto di tutti. In ogni società vi sono dei buoni, e dei cattivi; piace ai primi il rigor delle leggi, mal soffrono i secondi, che niun delitto resti impunito. Quindi divenne l’odio di costoro, che lo dipingeano per governante soverchiamente austero, il quale per ogni menoma trasgressione esigeva la rigorosa esecuzione della legge, e perciò colla politica massima: Summum jus summa injuria, lo riputavano per ingiusto, e tiranno.