Determinò, che l’amministrazione dell’annona restasse, come prima, in suo potere; e abolì la quarta dogana, che si era rimessa nel governo del principe di Lignè, durante la dimora in Messina de’ viceregnanti. Ciò fatto spedì a Palermo al vicerè interino marchese di Bajona due religiosi, cioè il padre Lipari Domenicano, ed il p. Reitano del terz’ordine di s. Francesco, per renderlo consapevole delle risoluzioni prese dal senato, e per pregarlo a gastigare con rigore i principali capi della fazione de’ Merli, ch’erano l’unica, e la vera sorgente delle calamità di Messina.
      Era stato già informato il marchese di Bajona di quanto era accaduto in quella città dall’assediato marchese Crispano, che spedendogli de’ corrieri gli rappresentò il pericolo, in cui si trovava, e lo pregò a liberarlo. Immaginò questo governante che la sua presenza fosse bastante a sedare il furore dei sediziosi; e imbarcatosi sopra una feluga (giacchè non erano le galee in Palermo), conducendo seco il consultore, il segretario, il duca di s. Giovanni, ed alcuni ministri togati, venne a Milazzo, d’onde fe avvisati i senatori del suo arrivo. Questi gli fecero dire ch’erano pronti a riceverlo, purchè prima avesse esiliato lo strategoto, e i di lui aderenti, e purchè non entrasse in città con truppe. Adirossi di questa risposta il vicerè, e minacciò che malgrado la renitenza del senato sarebbe entrato in Messina. Questa bravata fu fuori di stagione, non avendo egli i mezzi per eseguirla. Nonostante, perchè non venisse meno la sua parola, partì da Milazzo, e si avvicinò a quella città, sempre lusingandosi, che venerando quei cittadini il carattere, di cui era investito, avrebbono cambiato di sentimenti.