I principî del suo viceregnato furono faustissimi. Il re Cristianissimo non volendo tradire i Messinesi, che si erano sagrificati per sostenere l’acclamazione, che ne aveano fatta, avea spedito nel mese di febbrajo il maresciallo di Ambusson duca della Fogliada con tre vascelli da guerra, e due brulotti per comunicare al duca di Vivonne l’ordine di ritornarsene in Francia, come questi eseguì. La istruzione data dal re al sudetto maresciallo, (che non sappiamo, se fosse stato anche incaricato del governo politico in vece del duca di Vivonne, avendo gli scrittori tacciuta questa circostanza) era appunto di tentar prima, se gli fosse stato possibile, di fare qualche acquisto, e di far ritornare le armi francesi nella primiera reputazione; e nel caso, che non potesse riuscirvi, di abbandonare al più presto la Sicilia, e condurre seco quei Messinesi, che volessero partire, per non esporli al furore degli Spagnuoli. Tentò infatti il signor di Ambusson di riprendere il forte della Mola, e si avviò colle truppe verso di Taormina, [413] ma trovò quel castello così ben difeso, che fu costretto a ritirarsi, e nel suo recesso fu così incalzato dal duca di Bornaville, che vi perdette molta gente, e quasi fuggendo ritornò a Messina. Discacciati i Francesi, attaccarono gli Spagnuoli la guarnigione di Taormina, la quale non potendo reggere alle batterìe della fortezza della Mola, che agevolavano gli Spagnuoli, abbandonò questa città ancora ai medesimi (1821).
      Dietro a questi vantaggi riportati dalle armi spagnuole, che accaddero nell’entrare al governo il vicerè Gonzaga, successe l’abbandono di Messina fatto da’ Francesi.