Non mai altro vicerè tenne tante cappelle reali durante il suo governo, quante se ne videro nel viceregnato del conte Maffei, e in certe chiese, nelle quali non vi era memoria, che unquemai vi si fossero tenute. Più volte ebbe a soffrire la mortificazione di vedersi chiuso l’adito dei templi, o di vedere interrotti i divini uffizî, quando vi arrivava.
      Ma per dare un sunto di quanto avvenne in Sicilia sotto questo vicerè intorno alle liti con Roma, egli è a sapersi, che non passò molto tempo, da che il re Vittorio si era allontanato dal nostro regno, che si videro fioccare, e spargersi gli ordini di tutti i generali delle diverse religioni, diretti ai provinciali, e agli altri superiori subalterni, coi quali veniva loro prescritto, che facessero immediatamente serrare tutte le proprie chiese, che tenevano nelle due diocesi di Catania, e di Girgenti, le quali malgrado il preteso interdetto erano fino a quel punto rimaste aperte. Arrivò di poi un breve di Clemente XI. dato in Roma ai 6 di novembre con cui non solo confermava lo interdetto fulminato dai due vescovi nelle dianzi nominate diocesi, ma condannava inoltre la opinione di quei moralisti, i quali sostenevano, che il timore di una grave pena temporale minacciata dal sovrano non facea incorrere le pene canoniche, e le censure fulminate ai controventori degli ordini pontifizî.
      Un altro breve di questo pontefice sottoscritto, e promulgato in Roma ai 15 di gennaro 1715, comparve in Sicilia. Avea il re Vittorio, mentre trovavasi nel regno, vietato con suo dispaccio sotto la pena dello esilio a tutti gli ecclesiastici, e sotto maggiori gastighi ai secolari, di dare esecuzione a qualunque editto, breve, ordine, lettera spedita da qualunque corte straniera, prima che codeste carte si fossero riconosciute autentiche, legittime, ed eseguibili secondo le leggi del regno.