Due grazie furono dimandate in questa assemblea; l’una che la tassa de’ donativi, così ordinarî, che straordinarî, che pagar doveano gli ecclesiastici, s’imponesse a misura de’ frutti, ch’eglino percepivano dalle loro rendite; e l’altra che in avvenire S.M.I. si degnasse di conferire i canonicati, i benefizî, e le prebende della cattedrale di Palermo ai soli cittadini, che fossero tali, o per nascita o perchè n’erano oriundi, non già dichiarati tali per privilegio (2199). L’una, e l’altra dimanda, per quanto a noi costa, non ebbe il desiato effetto.
      Continuava il marchese di Almenara ad invigilare al buon regolamento della Sicilia, tenendo l’occhio vigile a tutto ciò, che potesse recare pregiudizio alla nazione. Uno de’ disordini, che più volte si era cercato di togliere, ma sempre invano, era appunto, che vi fossero certi determinati luoghi, dove si giocava pubblicamente. Questa libertà di giocare apportava la rovina infallibile di molte famiglie, e spesso era cagione di perniciose risse. Egli dunque ne scrisse efficacemente alla corte di Vienna, da cui venne ordine, che fossero severamente vietati, e i giochi, e i luoghi destinati a questo pericoloso commercio. Ne fu perciò dal vicerè promulgato il bando ai 28 di gennaro 1726, che con universale applauso fu ricevuto da tutti gli amanti della pubblica felicità (2200).
      Ricercando gl’interessi dello stato, e del sovrano, che il marchese di Almenara passasse a Messina, vi si dispose nel mese di [522] maggio. Vennero allora in Palermo quattro galee della sua religione di Malta, e il generale, che le comandava, sentendo il viaggio, che S.E. dovea fare, si esibì di servirlo co’ suoi legni.