Nel dì 2 di marzo lo stesso vicerè promulgò un bando, con cui ordinò, che tutti i baroni feudatarî, o altre persone, che nel regno possedessero de’ beni, e fossero al servigio della Spagna, o della Savoja, fossero tenuti, dietro il breve termine di due [533] mesi, di ritornare in Sicilia, sotto la pena, se mai non ubbidivano, della confiscazione di quanto aveano nell’Isola (2245).
      Intanto nel mese di febbrajo era arrivato da Parma a Firenze il principe Carlo Borbone, ed essendosi posto alla testa della poderosa armata, che il re Cattolico suo padre gli avea mandata, si era mosso verso Roma, e ai 15 di marzo avea già valicato il Tevere. Una flotta spagnuola era venuta a Civitavecchia, da cui furono staccate otto navi di linea, e mandate alle isole di Procida, e d’Ischia, che allo apparire de’ detti vascelli si arresero a’ 20 dello stesso mese. Aspettavasi il vicerè di Napoli da molto tempo questa visita, e cercava da per tutto dei rinforzi di truppe, per munire almeno le fortezze principali di Gaeta, e di Capua. Il nostro conte di Sastago gli avea spedito ai 10 di esso mese di marzo quattrocento fanti, e sessanta cavalieri, ma a mala sorte due delle tartane, che li conducevano, caddero in mano degli Spagnuoli; un’altra dopo sette giorni ritornò in Palermo, e le restanti invase dalla tempesta appena si poterono salvare (2246). Furono poi a’ 6 di aprile imbarcati altri settecento soldati sopra sette tartane, le quali doveano passare a Messina per prenderne a bordo altri ottocento, e veleggiare verso Manfredonia, dove il conte Giulio Visconti vicerè di Napoli avea scritto, che si mandassero (2247).