Il vicerè ne fe intesa la suprema generale deputazione di salute, che dimora in Palermo, col voto della quale spedì le circolari sotto li 5 di agosto a tutte le università marittime del regno, dando gli ordini opportuni per preservare la Sicilia dalla detta bovina epidemia.
      Molti avvenimenti degni di essere rammentati accaddero nell’anno di appresso 1759. Era molto tempo, che si mormorava intorno alle monete d’oro, che si coniavano nella zecca, cioè delle fenici, volgarmente dette once. Pretendeasi che non avessero il valore, o titolo, che aver doveano. Ne furono perciò fatti diversi ricorsi al governo, esponendosi la mancanza delle medesime, ciò che cadea in danno del commercio, e dei particolari. Furono quindi dai ministri del reale patrimonio fatti nell’officina della zecca diversi saggi, i quali non si sa per qual ragione, corrisposero sempre alle condizioni ricercate dal contratto che si era fatto agli impresarî. Ma continuando le doglianze, e incolpandosi i ministri patrimoniali di negligenza, e i saggiatori di poca fedeltà, fu incaricato dalla corte Antonio Lucchese, principe di Campofranco, maestro razionale, che trovavasi in Napoli, di portarsi in Palermo, per assistere alla presenza del vicerè marchese Fogliani ai nuovi saggi, che furono prescritti, affine di discoprirsi le frodi. Venuto questi a Palermo, e presentato il dispaccio, il Fogliani ordinò, che si estraesse dal banco pubblico un sacchetto di once di quelle, intorno alle quali si era fatta l’accusa, le quali furono nuovamente fuse e fattasene una nuova prova alla sua presenza, del ridetto principe di Campofranco, de’ ministri patrimoniali, e di molti orefici, fu conosciuto, che ogni fenice, o oncia era mancante del suo intrinseco valore due carati, e cinque ottave.