Bisognò sospendere ogni altro comando, e scrivere alla corte di Napoli, che approvò per allora la risposta degli artisti, e con dispaccio del mese di agosto il re lasciò i collegi de’ medesimi nel possesso, in cui erano stati fino da’ tempi i più antichi, di guardare la notte la città.
      Stava a cuore del re il regolare in tal guisa la città di Palermo, che non potesse in avvenire accadere alcun altro tumulto; e siccome la causa della passata sollevazione, o almeno il pretesto, di cui si valsero i malcontenti, fu la scarsezza de’ viveri, e lo esorbitante prezzo, con cui si compravano, scarsezza, che si credea nata dalla cattiva amministrazione delle rendite del senato, e da’ monopolî, che si erano fatti dalle persone protette dal duca Fogliani, per dar ordine ad ogni cosa, comandò che si formasse in Napoli una radunanza di cavalieri palermitani, i quali esaminassero le sorgenti dei disordini, e suggerissero i mezzi più confacenti per ripararvi. Gli eletti nobili furono i principi di Camporeale, della Cattolica, della Pantellaria, di Partanna, e di Campofranco, i duchi di Pratoameno, di Sinagra, e di Cefalà, e il marchese di Francofonte. Costoro meditando sullo stato infelice della loro comune patria, furono di accordo che la origine di questi mali dovea riconoscersi nella rovina della colonna frumentaria; la quale erasi quasi interamente estinta, in parte per negligenza di coloro, ch’erano gli amministratori della medesima, e in parte per la sterilità di alcuni anni, ne’ quali si erano voluti costantemente conservare i prezzi dei comestibili, che comprandosi caramente, si dispensavano al pubblico, come prima, con danno considerabile della colonna suddetta.