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      Considerarono ancora che avea conferito a rovinare la cassa senatoria non solo la troppa condiscendenza, che si usava da’ senatori verso i partitarî, accordando loro, per [652] ragioni per lo più frivole, ed insussistenti, le spese, e le largizioni superflue, ch’eglino faceano, e che non potendole legittimamente fare, le coprivano sotto il pretesto degli eccessivi prezzi de’ viveri. Sospettarono ancora che vi abbiano potuto contribuire le furtive, e vietate estrazioni di tutti i generi, e particolarmente degli olî, e de’ frutti di mandra, che poi il senato era costretto a comprare a prezzo eccedente. Similmente osservarono che poteano avere avuta una gran parte ad accrescere i mali del senato le franchiggie, che con troppa facilità si accordavano a’ vicerè, i quali, oltre di esigere per essi dal senato la somma considerabile di once 2780, pretendevano di più che tutto ciò, che serviva per uso loro, o de’ loro familiari, dovesse entrare franco da qualunque gabella nel regio palagio: nel che erano condiscendenti i senatori, per non perdere il favore viceregio, accordando ai gabbelloti, perchè non mormorassero, dei rilasci. E da ultimo discuoprirono lo abuso introdottosi da molto tempo, di dare a’ vicerè nelle conferme le once 1200, che sogliono loro regalarsi, quando entrano nel viceregnato, per quel diritto, che gli Spagnuoli chiamano aposiento; quando le conferme non sono nuovi viceregnati, ma la continuazione del primo.
      Volendo il re provvedere a codesti disordini rappresentati da’ mentovati cavalieri, con suo reale dispaccio (2540) in data de’ 20 di agosto diretto a Mr. Filangeri, presidente del regno, ordinò la seguente riforma: 1° ch’esigendo i vicerè dal senato, e dalla deputazione delle nuove gabelle le onze 2780 annuali, non potessero pretendere altra franchiggia, nè per se, nè per i loro familiari, e dovessero soggiacere a tutte le gabelle; 2° che dopo di avere esatto nello ingresso al viceregnato l’aposiento, non ne potessero più ricevere nelle conferme, che mai ottenessero: 3° condiscese che delle rendite dell’azienda di educazione, ossia de’ beni degli estinti gesuiti, si dasse al senato la somma di cinquanta mila scudi, a fine di formarsi una nuova colonna, e farsi in tempo le proviste de’ viveri, acciò non più mancassero; 4° ordinò che fosse assolutamente vietata la estrazione degli olî, e de’ caci, incaricando il tribunale del real patrimonio ad invigilarvi con ogni rigore, e concedendo solo al vicerè il diritto di permetterla, allora quando non sia più da temersene la mancanza; volle 5° che si formasse, per un triennio prorogabile, una così detta giunta pretoria, composta da cinque cavalieri di famiglie pretoriane, la quale invigilasse all’amministrazione del senato, approvando, e disapprovando, come meglio pensasse, i partiti, che si daranno dal detto magistrato, le provviste del medesimo, le spese straordinarie, e gli scomputi a’ gabelloti: alla quale giunta volle che fosse unito un ministro togato, come consultore della medesima, e prescrisse in avvenire, nascendo controversia fra la detta giunta, e il senato, che questa dovesse dirimersi da’ presidenti, e dal consultore nella più breve, e spedita maniera, dispensando S.M. alla osservanza delle ferie: 6° per la festa della protettrice s. Rosalia accordò il monarca al senato altre once 600, oltre a quelle 1606, che anticamente segli permetteano, beninteso che non si potessero più fare delle coperture.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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