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      Mia madre ebbe come un sicuro presentimento, alla seconda occhiata, che fosse la signora Betsey. Il sole che tramontava, oltre la siepe, raggiava sulla sconosciuta, che si dirigeva verso la porta con una truce rigidezza di aspetto e una gravità d’andatura che non potevano appartenere a nessun’altra al mondo.
      Quando ella giunse sulla soglia, diede un’altra prova della sua identità. Mio padre aveva narrato spesso che mia zia di rado si comportava come gli altri cristiani; e così ella, invece di sonare il campanello, si diresse risolutamente alla finestra, e guardò a traverso i vetri, poggiandovi il naso con tanta forza che in un istante, soleva dire la mia povera madre, era diventato perfettamente bianco e piatto. E questo fece tanta impressione su mia madre, che io son persuaso di esser nato di venerdì per opera e fatto della signora Betsey.
      Mia madre, levatasi tutta agitata, era corsa a rifugiarsi dietro una sedia in un angolo. La signora Betsey, guardando nella stanza intorno intorno, con lenta e inquisitiva penetrazione, cominciò dall’altro lato e girò gli sguardi, come la testa di saraceno di un orologio olandese, finché non li posò su mia madre. Come la vide, aggrottò le ciglia e le fece un cenno imperioso di andare ad aprire. Mia madre andò.
      – La signora Copperfield, immagino? – disse la signora Betsey, poggiando la voce sull’«immagino», con un’allusione, forse, alle gramaglie e alla condizione di mia madre.
      – Sì – disse mia madre, con un filo di voce.
      – La signora Trotwood – disse la visitatrice.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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