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      Il paniere mi urtava e mi faceva tanto male, che mi rese perfettamente infelice; ma se mi movevo minimamente, e facevo tintinnare un bicchiere che era nel paniere contro qualche altro oggetto (come avveniva spesso), ella mi dava un calcio in uno stinco, dicendo: «Su, non t’agitare. Stai un momento fermo!»
      Finalmente si levò il sole, e i miei compagni parvero dormire più comodamente. Le difficoltà contro le quali avevano lottato tutta la notte, e ché s’erano manifestate coi più terribili lamenti e rantoli, non si possono immaginare. A misura che il sole saliva, il loro sonno si faceva più leggero, e così gradatamente a uno a uno si svegliarono. Ricordo che mi stupii molto sentendoli tutti asserire di non aver chiuso occhio nell’intera nottata, e respingere con grande indignazione l’accusa di aver dormito. Anche oggi me ne stupisco, pur avendo invariabilmente osservato come fra tutte le umane debolezze, non so perché, l’accusa d’aver ceduto al sonno in una diligenza sia quella meno accettata facilmente dalla nostra natura.
      Che stupefacente città m’ apparve Londra quando la vidi da lontano! Come naturalmente la credessi il teatro di tutte le avventure de’ miei eroi favoriti, avventure che vi si rappresentavano in continuazione, e come indistintamente col solo mio pensiero la intuissi la più colma di meraviglie e di mali, fra tutte le città del mondo, è inutile che io m’indugi qui a riferire. Ci avvicinavamo con lentezza, e arrivammo, puntualmente, nell’albergo del distretto di Whitechapel, dove eravamo diretti.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Londra Whitechapel