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      Bisogna, però, che io mi faccia giustizia. Non ero spinto da nessuna ragione egoistica o interessata, né da timore di lui. Lo ammiravo e gli volevo bene, e la sua approvazione mi bastava. Approvazione che mi era così preziosa, che ritorno ora su queste inezie con una trafittura in cuore.
      Steerforth m’aveva anche dei riguardi particolari, e me lo mostrò specialmente in un caso che dové deludere alquanto, credo, il povero Traddles e gli altri. La lettera promessami da Peggotty – che lettera sconfortante che fu! – arrivò prima che del semestre fossero passate molte settimane, e con una torta nascosta in un nido d’arance e due bottiglie di vino dolce. M’affrettai, com’era mio dovere, a deporre questi tesori ai piedi di Steerforth, pregandolo di farne la distribuzione.
      – Sai che ti dico, piccolo Copperfield? – disse egli. – Il vino lo serberemo per inumidirti la lingua quando narri le tue storie.
      Arrossii a quella proposta, e lo pregai, modestamente, di non pensarci neppure. Ma mi disse di aver osservato che a volte ero rauco – un po’ sfiatato disse esattamente – ed ogni goccia del mio vino doveva essere, consacrata al proposito da lui menzionato. Quindi il vino fu chiuso nel suo baule, versato poi in una fiala, dalla quale io dovevo aspirarlo per mezzo d’un cannello di penna d’oca infisso nel tappo, tutte le volte che si stimava che avessi bisogno di rinfresco. A volte, per renderlo uno specifico migliore, vi spremeva gentilmente del succo d’arancia, o aggiungeva un po’ di zenzero, o scioglieva una goccia di menta; e benché io non possa asserire che, dopo queste manipolazioni, la fragranza del vino fosse più squisita, o che esso costituisse appunto la bevanda che si sarebbe scelta come tonico nell’ultimo istante della serata e nel primo della mattinata, io, commosso di tanta delicata attenzione, me lo assaporavo con un vero sentimento di gratitudine.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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