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      Lasciai Salem House il giorno dopo, nel pomeriggio. Pensavo poco allora che lo lasciavo per non ritornarci più. Viaggiammo molto lentamente tutta la notte, e non arrivai a Yarmouth prima delle nove o le dieci della mattina. Cercai Barkis, ma non c’era; e invece di lui, allo sportello della carrozza, si presentò un ometto grasso, asmatico, tutto allegro, vestito di nero, con piccoli nodi di nastri stinti alle ginocchia delle brache, calze nere, e un ampio cappello. Egli si fece innanzi sbuffando:
      – Il signorino Copperfield?
      – Sì, signore.
      – Volete venir con me, signorino, di grazia? – egli disse, aprendo lo sportello – io avrò il piacere di condurvi a casa.
      Misi la mano nella sua, domandandomi chi si fosse, e camminando per una strada angusta fino a una bottega, sulla quale era scritto:
     
      omertappezziere, sarto, merciaio,
      intraprenditore di pompe funebri, ecc.
     
      Era una botteguccia stretta e soffocante; piena d’ogni specie di vestiti, fatti e da fare, e con una finestra ornata di cappelli di castoro e di cappellini. Entrammo in una specie di piccolo retrobottega, e vi trovammo tre giovinette al lavoro su una gran quantità di stoffe nere, ammucchiate sul banco, e pezze di cenci e ritagli disseminati su tutto il pavimento. V’era un buon fuoco nella stanza, e un irrespirabile odore di velo nero strinato. Non conoscevo ancora quell’odore; ma adesso sì.
      Le tre giovinette, che sembravano molto laboriose e liete, levarono il capo per guardarmi, e poi continuarono a lavorare. Cic, cic, cic, con l’ago.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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