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      Peggotty naturalmente era afflitta nel lasciare la casa che era stata sua per tanti anni, e dove s’erano formati i suoi due più forti affetti: quello per me e quello per mia madre. Di buon mattino s’era recata nel cimitero; e salì sul carro e vi si sedette, col fazzoletto agli occhi.
      Finché se ne rimase in quell’atteggiamento, Barkis non diede indizio alcuno di vita. Se ne stette al suo solito posto, immobile come una figura di cera. Ma quando Peggotty cominciò a guardare in giro e a parlarmi, egli scosse il capo e sorrise parecchie volte. E non avevo la minima idea di che, e perché.
      – Bella giornata, Barkis – io dissi, in segno di cortesia.
      – Non è brutta – disse Barkis, che in generale si esprimeva con riserva e non si lasciava andare ad ammissioni precise.
      – Peggotty ora sta molto meglio – osservai per fargli piacere.
      – Sì, veramente?
      E dopo aver meditato un poco, Barkis le diede una occhiata sagace e disse:
      – Ora state molto meglio, no?
      Peggotty rise e rispose di sì.
      – Ma veramente e realmente state meglio, no? – brontolò Barkis, facendosi più da presso a lei sul sedile, e spingendola col gomito. – No? Realmente e veramente state meglio, no? Eh! A ciascuna di queste domande Barkis si faceva più da presso, e le dava un’altra gomitata; di modo che dopo poco ci trovammo tutti e tre stretti insieme nell’angolo sinistro del carro, ed io così compresso che non potevo più respirare. Peggotty avvertì Barkis delle mie sofferenze, ed egli mi diede subito un po’ più di spazio e s’allontanò gradatamente.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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