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      Passammo la giornata grandemente soddisfatti. Se Peggotty si fosse maritata ogni giorno negli ultimi dieci anni, non si sarebbe potuta mostrare più a suo agio: non c’era alcuna diversità in lei: era proprio la stessa di prima, e volle fare una passeggiata con me e l’Emilietta prima del tè, mentre Barkis filosoficamente fumava la pipa, e si deliziava, immagino, nella contemplazione della propria felicità. Se mai, questo dové aguzzargli l’appetito; perché ricordo chiaramente che, sebbene avesse mangiato una gran quantità di verdura a desinare, e avesse finito con un paio di polli, fu costretto a ricorrere al prosciutto cotto all’ora del tè, facendovi man bassa senza alcuna commozione.
      Ho spesso pensato, di poi, che strane, innocenti, singolari nozze dovettero mai essere quelle! Salimmo sul carro di nuovo la sera, per tornare a casa, e fu una dolce passeggiata. Guardavamo il cielo, e parlavamo di stelle. Ero io che le indicavo, e apersi lo spirito di Barkis a una vastità stupefacente. Gli dissi tutto ciò che ne sapevo, ma egli avrebbe creduto qualunque cosa che mi fosse piaciuto di dargli a bere; perché aveva una profonda venerazione per la mia dottrina, e informò la moglie proprio in quell’occasione – e a me non sfuggì – che ero «un piccolo Roscius»; con che intendeva dire che ero un prodigio.
      Quando il soggetto delle stelle fu esaurito, o piuttosto quand’ebbi esaurito le facoltà mentali di Barkis, l’Emilietta e io ci facemmo un mantello d’una vecchia coperta, e ce ne stemmo così avvolti per il resto del viaggio.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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