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      Quando ritornai, vidi Uriah Heep che chiudeva lo studio; e, sentendo simpatia per tutti, gli andai incontro e gli parlai, e, lasciandolo, gli diedi la mano. Ma, ahimè; che mano madida aveva! Spettrale al tatto come alla vista! Mi stropicciai la mia, dopo, per scaldarmi, e cancellare il suo contatto.
      Dava tanto fastidio quella mano, che quando fui in camera mia, mi sentivo le dita ancor umide e fredde. Affacciandomi alla finestra, e vedendo una delle figure scolpite all’estremità delle mensole del tetto guardarmi obliquamente, mi parve che fosse Uriah Heep in persona, e rientrai in fretta.
     
     
      XVI.
      TRASFORMATO
     
      La mattina seguente, dopo colazione, cominciai ad andar di nuovo alla scuola. Arrivai accompagnato dal signor Wickfield sul teatro dei miei studi futuri – un solenne edificio, entro un recinto, con certa aria di dottrina che s’adattava a meraviglia alle cornacchie e ai corvi sbandati che calavano sul prato, dalle torri della Cattedrale, a passeggiarvi con certo loro portamento ecclesiastico – e fui presentato al mio nuovo maestro, il dottor Strong.
      Il dottor Strong mi parve avesse lo stesso aspetto rugginoso della grande cancellata della facciata, e la stessa rigidezza e pesantezza delle grandi urne di pietra che la fiancheggiavano, schierate sui pilastri di mattoni, a regolare distanza, intorno al recinto, come un gigantesco giuoco di birilli per il Tempo. Egli era nella sala della libreria, con gli abiti non molto bene spazzolati, i capelli non molto bene pettinati, le brache ancor sciolte alle ginocchia; le lunghe uose nere non abbottonate; e le scarpe che sbadigliavano come due caverne, sul tappeto innanzi al caminetto.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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