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      E mi domandavo che cosa avrebbero pensato, se avessero conosciuto la mia intimità con la prigione di King’s Bench. V’era qualche cosa in me che avrebbe rivelato, nonostante il mio silenzio, i miei atti in relazione con la famiglia Micawber? Tutti quei prestiti su pegno, tutte quelle vendite e quelle cene? E se qualcuno di quei ragazzi mi avesse visto attraversare, stremato e lacero, Canterbury, e a un tratto riconosciuto? Che cosa avrebbero detto, essi che calcolavano tanto poco il denaro, se avessero saputo quanti conti avevo fatto sui miei soldini, per comprare ogni giorno un po’ di cervellata e di birra, o una fetta di budino? Che impressione avrebbe fatto su loro, innocenti della vita di Londra e delle vie di Londra, scoprire che io le conoscevo (e mi vergognavo di conoscerle) nelle loro peggiori manifestazioni? Tutto questo mi agitò così la mente, quel primo giorno di scuola dal dottor Strong, che temevo di volgere in giro la minima occhiata o di fare il minimo gesto; rannicchiandomi in me stesso ogni volta che qualcuno dei nuovi compagni mi s’avvicinava; e fuggendo subito, nello stesso istante che finì la scuola, per paura di tradirmi nelle mie risposte alle loro amichevoli domande.
      Ma la vecchia casa del signor Wickfield faceva su me l’effetto d’un calmante. Quando picchiai alla porta, coi nuovi libri di scuola sotto il braccio, cominciai a sentir svanire la mia inquietudine. Andando di sopra, nella camera vasta e ariosa, mi parve che la penombra della scalinata avviluppasse tutti i miei dubbi e le mie paure e rendesse il mio passato più indistinto.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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