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      .. insomma, m’hanno atterrato. Vi sono state delle volte in cui le ho fatte barcollare con una serie di scapaccioni; vi son state delle volte che son state troppe per una persona sola, e ho dovuto cedere, e dire alla signora Micawber, con le parole di Catone: «Platone, tu ragioni bene, tutto è finito, io non posso dar più battaglia». Ma in nessun momento della mia vita – disse il signor Micawber – ho provato un maggior grado di soddisfazione di quando confidavo i miei affanni (se così posso chiamare le mie difficoltà, derivanti principalmente da citazioni d’uscieri e da cambiali a due o quattro mesi) nel seno del mio amico Copperfield.
      Il signor Micawber concluse questa bella tirata col dire:
      – Signor Heep, buona sera. Signora Heep, vostro servo – e poi con l’uscire con me nel più elegante atteggiamento, facendo con le scarpe un gran rumore sul lastrico e canticchiando un’arietta fra i denti.
      Il signor Micawber s’era allogato in un alberghetto, e occupava una cameretta attigua alla sala comune, e fortemente impregnata di fumo di tabacco. Credo che fosse al di sopra della cucina, perché un odor tepido di grasso saliva dalle fessure del pavimento, e stillava una specie di sudor vaporoso sulle pareti. Era inoltre attigua al banco di assaggio, e vi arrivava il sentor dei liquori e il tintinnìo dei bicchieri. Ivi, sdraiata su un piccolo divano, sotto un quadro rappresentante una corsa di cavalli, la testa accanto al fuoco e i piedi in contatto del vaso di mostarda su una credenzina della parete opposta, stava la signora Micawber, alla quale per prima cosa si volse il signor Micawber, dicendo: «Mia cara, permetti che ti presenti un allievo del dottor Strong».


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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