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      Era come se il tranquillo santuario della mia infanzia fosse stato profanato innanzi ai miei occhi, e la sua pace e il suo onore fossero stati dispersi ai venti.
      Ma la mattina portò con sé la mia partenza dall’antica casa, che Agnese aveva adornata del proprio incanto; e questo mi occupò sufficientemente lo spirito. Senza dubbio vi sarei tornato di nuovo; avrei potuto dormir di nuovo – forse spesso – nella mia vecchia camera; ma i giorni della mia dimora colà se n’erano andati, e il vecchio tempo felice era trascorso. Avevo il cuore così grosso, facendo un pacco di quei libri e di quei vestiti che ancora dovevo spedire a Dover, che non mi curai di farmi scorgere da Uriah Heep; il quale si mostrava tanto servizievole nell’aiutarmi, che io poco caritatevolmente pensai che fosse straordinariamente soddisfatto della mia partenza.
      Mi separai da Agnese e dal padre, sforzandomi invano di celar virilmente la mia commozione, e salii sull’imperiale della diligenza di Londra. Ero così intenerito e disposto al perdono, attraversando la città, che avevo una mezza idea di fare un cenno al mio vecchio nemico il macellaio e di gettargli cinque scellini da bere alla mia salute. Ma egli mi apparve un macellaio cocciutissimo nell’atto che raschiava il gran ceppo nella bottega, e così poco abbellito nell’aspetto dalla mancanza del canino che io gli avevo fatto saltar via, che pensai bene di non fare quel passo conciliativo.
      La prima cosa che mi venne in mente, ricordo, quando ci trovammo sulla strada in campagna, fu di darmi un’aria importante col cocchiere, e di parlare in tono straordinariamente grave.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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