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      Non nella sala del caffè, ma in un grazioso salottino riservato trovai Steerforth ad aspettarmi: un salottino con le cortine rosse e i tappeti turchi, nel quale ardeva allegramente il fuoco, e su una tavola, coperta da una tovaglia candida, era apparecchiata un’appetitosa colazione calda. Una lieta miniatura della stanza, del fuoco, della colazione, di Steerforth, e di tutto splendeva nel piccolo specchietto rotondo della credenza. In principio, al cospetto di Steerforth, così padrone di sé ed elegante e superiore a me per ogni rispetto (compresa l’età) mi mostrai piuttosto timido; ma la sua disinvoltura e la sua serena aria di patrocinio misero tutto a posto e me nel massimo agio. Io non potevo ammirare abbastanza il mutamento operato da lui nella Croce d’Oro; o paragonare l’accoglienza trascurata incontrata fino al giorno innanzi con la dignità di quella mattina e il trattamento di quella mattina. Quanto alla familiarità del cameriere, fu subito spenta, come se non fosse mai esistita. Egli ci servì, se così posso dire, con cilicio e ceneri. – Ora, Copperfield – disse Steerforth, quando fummo soli – mi piacerebbe di sentire ciò che fai, dove vai, e tutto ciò che ti riguarda.
      Sento come se tu fossi di mia proprietà.
      Raggiante di piacere, per stargli ancora tanto a cuore, gli narrai come mia zia m’avesse proposto quel viaggetto, e lo scopo che esso aveva.
      – Se tu non hai fretta, allora – disse Steerforth – vieni a casa mia a Highgate, a star con me un paio di giorni. Mia madre ti piacerà... ella è un po’ vana di me, e parla continuamente di me, ma glielo potrai perdonare.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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