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      Questa donna, in un’acconciatura un po’ negletta, col naso e l’indice tenuti insieme con qualche sforzo, con la testa voltata necessariamente da un lato, e con un occhio chiuso, in atteggiamento di chi la sa lunga, dopo aver ammiccato a Steerforth per alcuni istanti, si profuse in un torrente di parole.
      – Che! fiore del cuor mio – incominciò scherzosamente, scotendo la grossa testa verso di lui. – Siete qui, siete. Oh, cattivaccio, non vi vergognate d’andar vagando così lungi di casa? Che andate facendo? Certo, delle bricconate. Voi siete una gatta morta, Steerforth, ma anch’io, sapete! Ah, ah, ah! Certo avreste scommesso cento contro cinque, che non mi avreste mai e poi mai incontrata qui, non è vero? Ma io sono da per tutto, che Dio vi benedica, ingenua creatura! Sono qui, lì e dove non immaginate, come l’orologio del prestidigitatore nel fazzoletto della signora. A proposito di fazzoletti... e a proposito di signore... metterei una mano sul fuoco, non importa quale, che voi siete la consolazione della vostra fortunata madre.
      A questo punto del discorso, la signorina Mowcher si sciolse il cappello, rigettò indietro i nastri, e si sedette, ansimante, su un predellino innanzi al fuoco, servendosi della tavola, che le metteva in testa quasi una volta di mogano, come di una specie di nicchia.
      – O stelle del firmamento! – ella continuò, battendosi le ginocchia con le mani, e guardando me con aria d’astuzia. – L’abitudine è una seconda natura, Steerforth. Dopo un ramo di scale faccio più fatica a ripigliare fiato che a tirare un secchio d’acqua.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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