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      Io proposi immediatamente un brindisi alla sua salute.
      Qualcuno fumava. Fumammo tutti, io facendo uno sforzo per reprimere certo nascente impulso a rabbrividire. Steerforth aveva fatto in onore mio un discorso durante il quale m’ero commosso fino alle lagrime. Risposi ringraziando, e augurandomi che i presenti avrebbero desinato con me il giorno appresso, e il seguente – e tutti i giorni alle cinque, per poter godere più a lungo la sera il piacere della compagnia e della conversazione. Mi sentivo obbligato a bere alla salute d’una persona. Avrei brindato a mia zia la signora Betsey Trotwood, la migliore delle donne esistenti ed esistite.
      Qualcuno s’era affacciato al terrazzino della mia camera da letto per rinfrescarsi la fronte contro la pietra fredda della balaustrata, e sentirsi soffiare l’aria fresca in viso. Quel qualcuno ero io, che mi rivolgevo un’apostrofe, dicendo: «Copperfield, perché hai voluto fumare? Dovevi pur saperlo che non potevi!» Poi qualcuno, malfermo sulle gambe, contemplava le proprie fattezze nello specchio. Ed ero ancor io, pallidissimo nel cristallo, con gli occhi dallo sguardo vago; e i capelli – solo i capelli, veh! – ubbriachi.
      Qualcuno mi disse: «Andiamo a teatro, Copperfield!» Innanzi a me non c’era più la camera da letto; ma la tavola tintinnante coperta di bicchieri; il lume; Grainger a destra, Markham a sinistra, e Steerforth di contro... tutti seduti nella nebbia in distanza. Il teatro? Certo. Magnifica idea. Avanti! Ma dovevano scusarmi se lasciavo prima uscire tutti, spegnevo il lume.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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