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      Questo mi spinse a rimanere finché tutta la compagnia non se ne fu andata. Conversando con lei, e sentendola cantare, rievocavo l’antica dolce vita nell’antica e solenne casa resa così lieta dalla sua presenza; e sarei rimasto a sentirla tutta la notte; ma non avendo alcuna scusa per indugiarmi ancora, dopo che tutti i lumi della serata del signor Waterbrook erano già spenti, mi levai, benché a malincuore, e mi congedai. Compresi allora più che mai, che ella era il mio buon angelo, e giacché pensavo al suo dolce viso e al suo tranquillo sorriso, come a immagini di una lontana angelica creatura, questa mia innocente illusione mi sarà certo perdonata.
      Ho detto che tutta la comitiva se n’era andata; ma avrei dovuto eccettuare Uriah, ché non ho incluso in quella denominazione, e che non aveva cessato di gravitarci intorno. Egli mi si strinse alle calcagna quando andai da basso, e mi si incuneò nel fianco, all’uscita, mentre si ficcava lentamente le lunghe dita scheletriche, nelle dita anche più lunghe di un paio di guanti che parevan fatti per Guy Fawkes.
      Non ero d’umore da allietarmi della compagnia di Uriah, ma, ripensando alla preghiera fattami da Agnese, gli chiesi se non gli dispiacesse di venire a casa mia a bere una tazza di caffè.
      – Oh, veramente, signorino Copperfield – egli rispose – scusatemi, signor Copperfield, ma sono così abituato a chiamarvi signorino... veramente non vorrei che v’incomodaste a invitare una persona della mia bassezza in casa vostra.
      – Non soffro incomodo di sorta – dissi.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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