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      Avete saputo qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle mie aspirazioni, signorino Copperfield... cioè signor Copperfield.
      Mentre egli sedeva sul mio canapè, con le lunghe ginocchia sotto la tazza, col cappello e i guanti accanto a lui sul pavimento, col cucchiaio che segnava dei lenti giri, gli occhi rossi senza ombra, che parevan gli avessero arse le ciglia, volti verso di me senza guardarmi, le strane contrazioni, che ho già descritte, delle narici, che si stringevano e si dilatavano con le vicende del respiro e un’ondulazione da serpe che gli scorreva dal capo alle piante per tutta la persona, vidi chiaramente in me che lo detestavo cordialmente. Provai un vero malessere d’averlo per ospite, perché ero giovane allora, e non avvezzo a dissimulare ciò che fortemente sentivo.
      – Avete sentito qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle speranze, signorino Copperfield... cioè signor Copperfield? – riprese Uriah.
      – Sì – dissi – ho saputo.
      – Ah! Pensavo già che Agnese ne sapesse qualcosa! – rispose tranquillamente. – Son lieto di apprendere che Agnese n’è informata. Grazie, signorino... signor Copperfield.
      Gli avrei gettato in testa il cavastivali (che era lì a portata di mano sul tappeto), per avermi tratto a rivelare una circostanza, benché insignificante, che riguardava Agnese. Ma continuai a sorbire il caffè.
      – Che profeta siete stato, signor Copperfield! – proseguì Uriah. – Buon Dio! Che profeta avete dimostrato d’essere. Non ricordate che mi diceste una volta che forse sarei stato socio del signor Wickfield, e che si sarebbe detto Wickfield e Heep?


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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